Praticare la CNV

23.03.2020

In questo momento in cui siamo chiamati a stare a casa, e quindi ad essere a stretto contatto per un tempo prolungato con familiari, coinquilini, compagni, mogli o mariti, penso sia utile un tutorial su come sotterrare qualcuno in giardino simulando una caccia al tesoro.
Scherzo :-)  parliamo di Comunicazione Non-Violenta.

La comunicazione, come concetto generale, è parte integrante della nostra vita quotidiana, dai rapporti professionali alle relazioni personali. Comunichiamo con le parole, ma anche con lo sguardo, con la postura che adottiamo, i nostri abiti comunicano, gli accessori che indossiamo comunicano cose di noi, i nostri silenzi comunicano. Sia che lo facciamo consapevolmente o inconsapevolmente, noi comunichiamo.

E a volte, forse spesso, capita di sbagliare.
Alzi la mano a chi è capitato, almeno una volta, di bisticciare con qualcuno dopo aver detto qualcosa e ritrovarsi dispiaciuto a pensare "Ma non era questo il mio intento!".

La comunicazione non-violenta (che d'ora in poi abbrevierò in CNV) è un metodo semplice per comunicare in modo chiaro ed empatico, ideato dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg.
Questo metodo consente di evitare di ricadere in spiacevoli malintesi come quello sopra accennato, dando la possibilità di esprimere come ci si sente senza accusare, senza giudizi, senza bisogno di essere aggressivi, di provare oppure istigare sensi di colpa, umiliazione o vergogna.
E' un protocollo comunicativo utile per risolvere conflitti, connettersi con gli altri e vivere in modo consapevole, in sintonia con i propri bisogni e i bisogni degli altri.
Detta così sembra una cosa complicata, in realtà è uno strumento semplice, che può "facilmente" essere applicato nella quotidianità, ogni volta che desideriamo far sapere a qualcuno come ci sentiamo e come vorremmo sentirci. Ho messo l'avverbio "facilmente" fra virgolette, perché il metodo della CVN è semplice, mentre è meno semplice ricordarsi di applicarlo, oppure resistere alla prorompenza di un'emozione che ci grida dentro.
La CNV promuove una comunicazione benevola, e al contempo non buonista, centrata sul dare spazio ai bisogni (e non alle pretese), sull'affrontare i momenti difficili di incomprensione in modo cortese e costruttivo, cercando di tirare fuori il meglio di entrambe le parti.

La comunicazione, come concetto generale, può avere tre direzioni:

  • interno --> esterno (quando vogliamo dire qualcosa a qualcuno)
  • esterno --> interno (quando qualcuno vuole dire qualcosa a noi)
  • interno --> interno (quando parliamo a noi stessi)

e l'approccio della CNV è applicabile a tutte e tre.

In questo articolo illustriamo nel dettaglio la prima direzione, cioè come interagire con l'altro con il linguaggio della CNV, quando abbiamo la necessità di comunicare un nostro disappunto.
Parlare con le persone è una parte importante della vita quotidiana e delle nostre relazioni. Se vogliamo andare d'accordo, dobbiamo imparare ad esprimerci in modo efficace, in particolare, imparare ad evitare di comunicare attraverso:

  • giudizi (insulti, critiche, etichette),
  • supposizioni,
  • pretese,
  • confronti,
  • accuse.

Le parole che usiamo hanno un impatto sul nostro comportamento e sull'ambiente in cui viviamo.

Facciamo un esempio:
"Sei proprio un disordinato senza speranze!!! Peggio di tuo padre! Mi fai stare male! Metti via tutta quella roba che hai lasciato in giro altrimenti ti vieto la TV per una settimana!"
In questa frase c'è quasi tutto, c'è un giudizio (sei disordinato), c'è un confronto (sei come tuo padre), una pretesa (metti a posto) con intimidazione (sarai punito), un'accusa (mi fai stare male).

Come ci fa sentire il pensiero che qualcuno ci dica le cose in questo modo? Oppure, come ci fa sentire il pensiero di dirle in questo modo?
Nel primo caso, immaginando che mia madre mi parli così, penso che mi sentirei mortificata, umiliata, non capita, impaurita, e dispiaciuta per l'offesa inferta, se pur indirettamente, anche a mio padre. Metterei tutte le cose a posto, per paura, non certo per desiderio di contribuire o desiderio che lei sia contenta. E sentirei anche un senso di ingiustizia, dato che, almeno nel mio caso, se lascio cose in giro è solo temporaneamente, magari proprio perché sto riordinando. E tutto questo mi porterebbe a provare risentimento per mia madre.
Nel secondo caso, pensando di dirlo a mio figlio, immagino che parlare in quel modo mi amplificherebbe la rabbia, invece di placarla, mi farebbe provare rancore, sensazione di incapacità di gestire le cose e sovraccarico di responsabilità, senso di solitudine, in un secondo momento senso di colpa per aver gridato, e credo anche dispiacere per il fatto che mio figlio magari piange o è diventato triste.
Nessuno si vuole sentire nei modi descritti. Senza contare poi che, dopo aver pronunciato o aver sentito pronunciare, frasi di questo tipo, si creano meccanismi di difesa e ci vuole tempo per far tornare gli umori ad un livello energetico alto e felice
.

"Lo sai cosa succede quando ferisci le persone?
Quando le ferisci, cominciano a volerti meno bene.
Ecco cosa fanno le parole sbagliate.
Fanno sì che gli altri ti vogliano un po' meno bene."
(Dal libro "Il Dio delle piccole cose" di Arundhati Roy)

Allora come potremmo dire la stessa cosa, ma in un modo diverso?
Ecco un esempio:
"Tesoro, quando vedo i tuoi giocattoli sparsi sul pavimento della cucina mi sento infastidita, perché ho bisogno che la nostra casa sia pulita e in ordine. Pensi di poter ritirare i tuoi giocattoli e portarli in camera quando hai finito di giocare?".
Ok, se proprio vi sembra troppo zen, togliete il "Tesoro"  :-)
Ad ogni modo, con o senza "Tesoro", come vi farebbe sentire pronunciare o ascoltare una cosa detta in questo modo?
Nel dire le cose così, io non avrei sensi di colpa per aver ferito qualcuno e il mio fastidio si ridurrebbe, e sarei fiera di me per aver comunicato in modo etico. Nel sentirmelo dire, non proverei rabbia, senso di umiliazione o di rimprovero, sentirei piuttosto una richiesta alla quale risponderei mettendo in ordine, non per paura di una punizione, ma per aiutare.

Con già un esempio ad aiutarci, passiamo ora ad esplorare le 4 componenti che consentono di formulare una frase in CNV:
· Osservazioni
·
Sentimenti
·
Bisogni
·
Richieste

L'obiettivo di questi 4 passi è di aiutarci a comunicare chiaramente come ci sentiamo osservando in modo obiettivo, comunicando con compassione, con l'obiettivo che la nostra richiesta venga ascoltata, senza pretese, senza creare malessere nell'altra persona.

Quindi prima osserviamo e dichiariamo ("io vedo, odo, ricordo, immagino") quali sono le azioni che contribuiscono (o non contribuiscono) al nostro benessere, attenendoci ai fatti, senza cioè aggiungere giudizi, critiche o supposizioni.
E' importante attenersi ai soli fatti, onde evitare che l'altra persona, in presenza di una valutazione, possa sentirsi criticata.
"Francesca mangia troppi biscotti quando prende il caffè" è una affermazione con insita una valutazione.
"Francesca mangia 10 biscotti quando prende il caffè" è l'esposizione dei fatti, scevra da valutazioni.
E' difficile osservare le persone ed i loro comportamenti senza mescolarvi giudizi, critiche o altre forme di analisi.
"Non mi ascolti mai quando ti parlo" suona molto più accusatorio di un "Le ultime due volte in cui ho provato a parlarti di questa cosa sei uscito dalla stanza", che racconta più fedelmente i fatti.

Krishnamurti affermò che:

"Osservare senza valutare è la forma più elevata di intelligenza umana".

Dopodiché esprimiamo come ci sentiamo in merito a ciò che osserviamo, facendo attenzione a non inserire interpretazioni, o a non confondere i pensieri con i sentimenti.
Vivendo in una società che poco chiama all'espressione dei propri sentimenti, è abbastanza comune e automatico riferirsi ad un pensiero piuttosto che un'emozione. Un esempio del verbo "sentire" usato erroneamente per esprimere un pensiero è: "Sento che pioverà", che potrebbe essere meglio detto con "Penso che pioverà".
"Mi sento ignorato" esprime il modo in cui interpretiamo un'azione altrui, anziché il modo in cui ci sentiamo, e questo può indurre un senso di critica in chi ci ascolta, quindi è bene fare attenzione ed usare frasi che descrivano le sensazioni, come "Mi sento addolorato, perché avrei voluto essere coinvolto".
Teniamo sempre a mente, e questo ultimo esempio ce lo fa notare, che

le azioni degli altri possono essere uno stimolo per i nostri sentimenti, ma non ne sono mai la causa.

E' probabile infatti, tornando all'ultimo esempio citato, che ci siano state volte in cui non essere coinvolti in una iniziativa ci abbia dato un senso di sollievo, invece di amareggiarci, perché magari quel giorno preferivamo stare a riposo o avevamo già altro in programma di più accattivante.
Un mio amico, di mestiere fornaio, una notte è rientrato prima del previsto perché i macchinari per impastare si erano rotti. Tornando a casa ha trovato la moglie in dolce compagnia. Mentre ce lo raccontava noi amici eravamo tutti attoniti, con gli occhi sbarrati in attesa di sapere il, secondo noi tragico, finale: "Quando li ho visti, sono andato in cucina............ho aperto il frigorifero, stappato due birre, tornato di là e ne ho porta una a lui dicendo 'Adesso te la cucchi tu, cin cin!'". Chi di voi dopo "sono andato in cucina" ha pensato "oddio va a prendere un coltellaccio" e immaginato una rissa? Io si! Il mio amico, in una situazione che per la maggior parte delle persone sarebbe struggente, ci ha visto una possibilità, quella di liberarsi della moglie! Dai ammettete che è un episodio simpatico :-)  e la moglie, dopo quella vicenda, è diventata ex, senza drammi.
Grazie a questo esempio, a maggior ragione possiamo affermare che non è il comportamento dell'altra persona che causa il nostro sentimento, bensì il nostro bisogno.
Cerchiamo, quindi, di utilizzare un linguaggio consapevole, che de-responsabilizzi l'altro del nostro sentire, ad esempio invece di dire "Mi hai dato un dispiacere quando ieri non sei venuto", possiamo esprimerci con "Quando ieri non sei venuto, mi è dispiaciuto, perché avrei voluto stare un po' in tua compagnia". Con la prima frase attribuiamo la responsabilità del nostro dispiacere soltanto all'azione dell'altra persona, mentre nel secondo modo di comunicare colleghiamo il nostro sentimento al nostro desiderio personale che non è stato realizzato.

Tanto più riusciamo a collegare i nostri sentimenti ai nostri bisogni, tanto più gli altri riusciranno a rispondere con empatia, non sentendosi accusati o colpevoli.

Questa è un'assunzione di responsabilità, significa non incolpare nessun altro per i propri sentimenti. Quello che qualcuno fa è uno stimolo, ma non è mai la causa della nostra risposta. La nostra risposta dipende da noi, così come il nostro benessere emotivo dipende da noi.

Terzo punto: esprimiamo i bisogni che sono alla base dei nostri sentimenti.
Essere pervasi da una emozione negativa, ad esempio sentirsi infelici, insoddisfatti, arrabbiati, è direttamente collegato a bisogni che non vengono soddisfatti, come il bisogno di autonomia, comprensione, sostegno, fiducia.
Ogni volta che critichiamo, giudichiamo o accusiamo, in realtà c'è un bisogno che non stiamo esprimendo. Quando riusciamo a collegare i nostri sentimenti ai bisogni, allora anche per gli altri è più facile risponderci con empatia. Esprimerci in termini di bisogni permette a chi ci è di fronte di rimanere aperto all'ascolto, e questo consente uno scambio, mentre quando le persone si sentono criticate reagiscono con chiusura o attacco, modalità che impediscono di comunicare.
Ad esempio, pensiamo a come ci farebbe sentire un amico che ci dice questa frase: "Smettila di parlare sempre al telefono!!!" confrontata con questa: "Mi sento un po' solo e mi piacerebbe parlare un po' con te".

Nel primo caso, a meno di non ascoltare con un orecchio allenato alla CNV, si potrebbero avvertire accusa, invadenza, prepotenza, quindi probabilmente si sentirebbe irritazione, suscitando una reazione probabilmente di attacco, tipo "Che cavolo vuoi, ma fatti gli affari tuoi!".
Udendo la seconda frase, personalmente mi sentirei felice di riattaccare prima possibile per fare due chiacchiere, perché mi sentirei al contempo lusingata che il mio amico desideri parlare con me e contenta di alleviare la sua sensazione di solitudine.
In questa fase è bene porre attenzione a non confondere i bisogni con i desideri, che vanno eventualmente espressi nel quarto passo. I bisogni sono comuni a tutte le persone e non sono legati a particolari circostanze. Voler andare al cinema con qualcuno non è un bisogno, così come il voler trascorrere del tempo con una persona specifica. Questi sono desideri. Il bisogno sotteso a questi desideri potrebbe essere quello di avere compagnia. Si può soddisfare il proprio bisogno di compagnia in molti modi, non solo con quella persona specifica e non solo andando al cinema. Il bisogno è oggettivo ed è lo stesso che ha un'altra persona, il come soddisfarlo è personale e del tutto soggettivo.

Quando i nostri bisogni sono soddisfatti, proviamo sentimenti positivi e siamo felici; quando non sono soddisfatti, abbiamo sentimenti spiacevoli.
L'espressione del nostro bisogno è propedeutica alla formulazione della richiesta, dato che una richiesta, se non accompagnata dall'espressione dei sentimenti e bisogni, potrebbe suonare come una pretesa. Analogamente dichiarare solamente come ci sentiamo potrebbe non rendere chiaro all'interlocutore cosa gli stiamo chiedendo, quindi le richieste sono importanti e vanno espresse in modo chiaro e preciso.

La quarta componente del modello comunicativo proposto da Rosenberg è proprio l'esposizione di quello che vorremmo chiedere all'altro per arricchire le nostre vite, e per far sì che il nostro bisogno venga soddisfatto. E' fondamentale manifestare richieste concrete usando un linguaggio di azione positivo, cioè dichiarando ciò che vogliamo invece di ciò che non vogliamo sia fatto. Ad esempio: "Voglio che mi aiuti ad essere più felice" non è una richiesta concreta; devo chiedermi cosa mi renderebbe felice e invitare l'altro a farlo: "Sarei molto felice di poter guardare la tv seduta comodamente sul divano, puoi spostarlo dalla sala da pranzo al salotto?".
La richiesta deve essere precisa. Una signora un giorno disse al marito: "Non voglio che passi così tanto tempo in ufficio" e lui la accontentò, iniziando ad uscire prima dal lavoro per andare a giocare a golf. Lui riteneva di aver accontentato la moglie, mentre lei intendeva chiedergli di tornare a casa prima per passare più tempo con lei!
Un altro punto di riflessione è: attenzione a formulare richieste, non ad avanzare pretese.
Perché la richiesta sia davvero una richiesta, e non una pretesa, dobbiamo essere disponibili ad accettare un "no" da parte dell'altra persona, oppure renderci favorevoli ad una proposta alternativa.

Nel fare una richiesta, onoriamo un "NO" tanto quanto un "SÌ", riuscendo a dare valore ai bisogni dell'altro tanto quanto ai nostri.

Fare richieste è importante per prenderci la responsabilità, per passare da vittime a creatori. La differenza fondamentale fra l'essere una vittima o un creatore è il focus, interno o esterno. Se il mio focus è all'esterno (ciò che fa l'altro) io sono una vittima, se il mio focus è all'interno (ciò che io voglio e come attuarlo) io sono il creatore del mio stato, della mia vita.
Chiedendo ciò che desidero, facendo richieste chiare, passo da vittima a creatore.

La CNV consiglia di utilizzare questo tipo di approccio anche per esprimere gratitudine e apprezzamenti.

  1. Cos'ha fatto l'altro che ha arricchito la mia vita?
  2. Come mi sento in merito a quello che ha fatto?
  3. Quale bisogno ha soddisfatto?

Esprimersi in questo modo è molto diverso dal fare un complimento, che altro non è che un giudizio, se pur positivo, della persona, e che può anche essere avvertito come manipolatorio.Esempio: "Complimenti per la conferenza, sei stato molto bravo".Se pur positivo, è un giudizio, e volendo leggere ogni sfumatura, si possono sentire anche supponenza o invadenza: che ne sa l'altro se sono stato bravo o meno? Anzi, se magari ho dimenticato qualche argomento rispetto a quelli che volevo trattare e mi sento di non aver fatto un buon lavoro, un complimento simile potrebbe risuonarmi addirittura falso."Grazie per la conferenza, ascoltando questi argomenti ho sviscerato alcuni dubbi ed ora mi sento più sereno e preparato". Questo è un apprezzamento senza giudizi, senza manipolazioni, dato che esprime come io mi sento, non come l'altro ha agito.Ricordiamoci sempre di parlare agli altri utilizzando sempre l'io-messaggio (io penso, io sento, io faccio) invece del tu-messaggio, prendendoci così la responsabilità di essere i creatori della nostra vita.


Come accennato all'inizio di questo articolo, la comunicazione prevede altre due direzioni, di cui fornisco alcune brevi osservazioni, lasciando a chi legge la possibilità di fare più approfondimenti in merito.
Quando parliamo con noi stessi (comunicazione interna-interna) possiamo essere altrettanto violenti. Io ad esempio mi sono ritrovata spesso a pensare: "Silvia quanto sei distratta!!", oppure "Ma come sono stata scema!!". Questo non ci aiuta a sentirci meglio.

Ricordiamoci di essere delicati e amorevoli anche, anzi soprattutto, con noi stessi. Lo stesso impegno che mettiamo nel cercare comunicare senza ferire qualcuno, mettiamolo anche per parlare con noi stessi, che in fin dei conti siamo la persona più importante della nostra vita, quella con la quale vivremo fino all'ultimo giorno.Dietro ad ogni comportamento c'è un bisogno, quindi leggiamo i nostri comportamenti come espressioni di un bisogno non risolto. Ho dimenticato di spegnere le luci prima di uscire? Non sono distratta, semplicemente è prevalso il mio bisogno di essere puntuale al lavoro, che, in fondo, denota senso di responsabilità e dedizione, che è qualcosa di positivo. Parliamo a noi stessi con amore.


E in ultimo, un accenno a come ascoltare quando gli altri ci parlano.

Come riceviamo dalle persone? Come intercettare le loro richieste senza udire alcuna critica o pretesa? E' necessario che impariamo ad udire richieste (e non pretese) anche se le persone lo stanno chiedendo in un modo non del tutto piacevole, tenendo presente che, come noi, non sono state educate ad esprimersi in modo empatico. Come rispondiamo alla richiesta di un "per favore" chiesto in questo modo: "Il problema con te è che sei troppo egoista!"? Questo è un "Ti prego", è la richiesta di un bisogno non soddisfatto, se "ascoltiamo" bene, si sente che dietro c'è una richiesta di "ti prego". Non pensate sia tragico, per quella persona, che stia chiedendo qualcosa in un modo che al 100% non gli farà ottenere ciò di cui ha bisogno? Lui è motivato da colpa, dolore, rabbia, che sono generate dalla tragica mancata espressione di un bisogno sotteso. Il fatto è che quando ci viene chiesta una cosa in questo modo, non sentiamo una richiesta, ma una critica, e questo porta guerra. Questa persona sta dicendo "sto soffrendo, perché ho un bisogno che non è soddisfatto", questo è il messaggio sotteso, e lo sentiamo in questo modo solo se ascoltiamo con le orecchie "del cuore", e allora potremmo rispondere in modo empatico "ti senti arrabbiato, perché hai bisogno di comprensione?". Con orecchie allenate ad ascoltare col cuore, tutto quello che sentiamo sono sentimenti e bisogni, non critiche, e questo ci consente di dare una risposta non orientata alla guerra, bensì alla comprensione e alla risoluzione di un conflitto, che altro non è che la mancata soddisfazione di bisogni da ambo le parti.
Focalizzando l'attenzione sul bisogno che l'altro indirettamente esprime, siamo naturalmente propensi ad esplorare le possibilità di soddisfare quel bisogno; restando nell'accusa, si è più propensi a chiudersi o ad attaccare a nostra volta, in ogni caso poco disposti a collaborare, se non per paura delle conseguenze, non certo per desiderio di contribuire.
Dice Rosenberg:

 "Se nel messaggio dell'altra persona sentiamo qualcosa di diverso da un bisogno non soddisfatto, allora non l'abbiamo veramente ascoltata".

E ricordiamo che quello che ci fa stare male non è quello che ci viene detto, ma come lo interpretiamo. Quindi se udendo la frase "Il problema con te è che sei troppo egoista!" sentiamo un'accusa e ci arrabbiamo, significa che non abbiamo ascoltato il bisogno che viene gridato sotto "Ho bisogno di considerazione".


Cercare di comprendere se stessi e l'altro è il primo passo per una vita migliore. Fare la nostra parte ogni giorno per migliorare le relazioni ci rende più felici. L'allenamento ci farà migliorare, ma non ci escluderà a priori dal commettere altri innumerevoli errori. Io lo faccio di mestiere, ogni giorno penso e parlo in termini di CNV, aiuto le persone a migliorare le loro relazioni, e tuttavia continuo a dire cose tossiche e disfunzionali anche io. Non saremo mai perfetti, ma già il fatto che siamo in cammino, che ci impegniamo nel provare, questo ci allinea con il concetto di perfezione, che, come diceva Einstein, non è atto, ma abitudine. Quindi non abbattiamoci, se gli ostacoli dell'abitudine e l'impeto delle emozioni ci portano a volte a dimenticare come comunicare in modo empatico, rialziamoci e riproviamo e riproviamo. E riproviamo ancora :-)
La capacità di costruire e coltivare relazioni sane è una delle abilità più importanti e allo stesso tempo più difficili della vita. Le nostre relazioni ci definiscono, per questo sono profondamente convinta che investire nella costruzione di relazioni buone e sane sia la più grande fonte di ricchezza. Ritengo inoltre che il tempo impiegato per farlo sia il più edificante e soddisfacente che si possa impiegare.
Praticare la comunicazione non violenta vuol dire permettere a ciò che è positivo in noi di sbocciare e ci avvicina a ciò che più di ogni altra cosa dona bellezza alle nostre vite: l'Amore.

Vi auguro di amare moltissimo.
Silvia



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